Sea shanties - Hig Tide - Medusa

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Sea shanties - Hig Tide

Musica

Sea Shanties – High Tide
Riflessione critica di Giorgio Peruzio
Gli High Tide sono un gruppo inglese assai talentuoso, che viene identificato come il fondatore del progressive metal. In verità è difficile classificare la loro musica, frutto della furia creativa del chitarrista Tony Hill che si incontra/scontra con il virtuosismo hard del violinista Simon House (violino ovviamente elettrico).
La band rimase in attività dal 1969 al 1970, producendo due album di grande vigore: Sea shanties e High Tide. Entrambi presentavano pezzi di forte intensità, sia nell’impasto musicale che nei testi, densi di cupo pessimismo e di rappresentazioni dell’orrore verso convenzioni e conformismi.
Il primo LP mi colpì molto. Lo acquistai dopo averne letto una recensione sull’unica rivista italiana che trattava con competenza le novità nel mercato musicale anglosassone. Riuscii a ottenerlo ordinandolo al più grande negozio di dischi di Torino (lo storico Maschio, ormai da tempo chiuso). Fu per me una conquista preziosa. Lo ascoltavo con religiosa attenzione perché non era orecchiabile ma andava compreso e digerito.
Partiamo dal titolo. "Canti marinari" ne è la traduzione letterale, ma occorre precisare che rinvia ai canti di lavoro dei marinai, dal ritmo cadenzato e i testi incerti. Canti di fatica, di autodifesa dalla durezza della vita in mare, di celebrazione di una forza piegata al servizio d’altri. L’alta marea (il nome della band) è chiaramente quella di un presente aggressivo e nemico, ben simboleggiato dalla copertina dell’album, dove una masnada di mostri assalgono la nave, salendo da un mare ribollente e ostile. I critici musicali classificano quest’opera prima degli High Tide come scaturigine del rock progressivo di indole metal. Una parte d’essi vi sente un miscuglio contorto e incendiario di temi altrui (da Jim Morrison, a Frank Zappa, ai Black Sabbath o perfino ai Cream). Certo la musica violenta e crepuscolare del gruppo non nasce nel vuoto, esprime una ricerca che ha molte e contorte radici. Ma non può essere compresa senza coglierne l’intreccio ardente con i versi. Come la prima è quasi una battaglia continua tra le distorsioni della chitarra di Tony Hill e il violino indemoniato di Simon House, i secondi sono messaggi senza speranza. C’è un’originalità nell’esasperazione del sound che sottolinea (e non sovrasta) i testi. Perfino note e strofe che paiono riecheggiare il folk sono travolte e precipitano nel calderone dei disperati che vogliono rifiutare il mondo che li opprime: pesante, nero e avvolgente. E così, nella ballata finale, intrisa di pessimismo lisergico e di desiderio di impossibile fuga, la voce roca di Tony Hill – furia e rassegnazione – recita l’epitaffio. Se quello dei King Crimson (il cui In the court of the Crimson King uscirà qualche mese dopo Sea Shanties) è la confusione [Confusion will be my epitaph], per gli High Tide è la confluenza dell’orrore, come perdita di soggettività, nel luogo vuoto e inesistente [Suddenly the way is clear again you turn. But nowhere is there me...] Musica e testi che non lasciavano scampo. Non molta strada restava agli interpreti da percorrere ancora. Dopo lo scioglimento del gruppo, i due leader tentarono ripetutamente di ricostituirlo, senza risultati. Nel 1989, con l’ausilio di strumenti elettronici e di altri strumentisti, Hill e House riuscirono a recuperare pezzi e spirito originario, pubblicando due album inediti: Precious cargo, già registrato in presa diretta nel 1970 e non pubblicato per lo scioglimento della band avvenuto subito dopo e Interesting time, che riprende i temi tipici del gruppo. Altri inediti, con la partecipazione di musicisti ospiti, saranno pubblicati successivamente. Gli High Tide furono, di fatto, una meteora nell’universo della musica leggera/impegnata, che attraversò quel cielo con una scia di fuoco luminoso striato di viola e di nero, urlò la sua rabbia contro il presente e seminò rocce incandescenti che esplosero sul mercato musicale, così frantumando la loro carica eversiva.


 

Giorgio Peruzio è nato a Torino. Per molti anni dirigente pubblico in Piemonte, ha insegnato Diritto Previdenziale all’Università degli Studi di Torino. Impegnato nella ricerca e analisi sociale, fu presidente dell’Associazione IRES L. Morosini di Torino. Dopo svariate opere di taglio professionale e saggistico, raggiunta la pensione ha iniziato a dedicarsi alla letteratura di genere poliziesco, pubblicando due romanzi. Vive a Viareggio dal 2017 con la moglie. I suoi interessi per le scienze sociali, la letteratura, l’arte, la musica, la storia, i viaggi, emergono dall’articolazione del sito web www.giorgioperuzionarra.it.
Dal 2019 è membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Medusa.


 
 
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