Lorenzo Viani Poeta - Medusa

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Lorenzo Viani Poeta

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LORENZO VIANI poeta - di Manrico Testi


Avevo già tratteggiato criticamente la figura di Lorenzo Viani, sul versante letterario, con il mio best seller locale (mille copie vendute) scritto a 4 mani con Angelo Gianni: "Dalla Torre Matilde alle Vette Apuane – Poeti e narratori di Viareggio e della Versilia", Mauro Baroni Editore, Viareggio 1996, ma è con la mia  opera monografica: "LORENZO VIANI  scrittore e poeta", Pezzini Editore, Viareggio 2016, che ho tracciato un approfondito quadro critico di tutta la sua opera letteraria: da quella poetica e narrativa, a quella giornalistica, di critica letteraria e perfino drammatica, di questo insigne e poliedrico artista che ha tracciato il sentiero su cui poi si sono incamminati tanti nostri validi pittori, scultori e autori. Ne è uscita, com’è nel mio stile, un’accurata e approfondita opera saggistico-antologica critico-divulgativa stimolante, propedeutica ad una lettura più estesa dell’intera produzione letteraria vianesca. E nel volume ho messo in adeguato  risalto la novità e la valenza del linguaggio vianesco che, pur attingendo al vernacolo, in un certo senso lo trascende e lo rimpolpa per conferirgli maggiore efficacia espressionistica. Ora, se molti erano i contributi critici sulla copiosa narrativa di Lorenzo Viani, mancava invece una trattazione sistematica e onnicomprensiva della sua produzione poetica, così, col mio libro, oltre ad offrire un illuminante panorama critico-antologico dei romanzi e delle raccolte di racconti di Lorenzo, sono venuto a colmare finalmente tale colpevole lacuna. Ciò va ascritto, questo va detto, alla mancanza di una produzione poetica ben definita come quella narrativa, avendo Viani via via inserito alcune sue composizioni attinenti alla poesia popolare dei cantastorie, dei "Maggi", dell’ottava rima, oltre ad alcuni stornelli, in varie sue opere narrative quali, ad esempio, "Ritorno alla Patria",  "Barba e capelli", "Il Bava", e prodotto, in tempi diversi e in ordine sostanzialmente sparso,  una serie di poesie inedite, compreso il suo "Diario di guerra", che figurerà poi nella seconda parte della sua opera postuma: "Il Romito di Aquilea". Ad ogni modo, ad un certo punto della sua vita, Viani aveva preso coscienza della validità della sua produzione poetica e sappiamo che nel 1936, anche attraverso la testimonianza del suo amico Krimer ("Portava sempre con sé la cartella contenente i fasci di fogli dattiloscritti; il suo ultimo libro: le poesie"), stava portando a termine la definitiva cernita, che non ci è stato possibile conoscere appieno per la sua improvvisa morte, delle liriche da inserire nella  sua "opera omnia" poetica di prossima pubblicazione.  

Ebbene, va detto subito che la produzione poetica vianesca risulta in linea con quella pittorica e narrativa per copiosità di dettagli, ricchezza di immagini e forma espressiva ed è degna d’interesse per le sue varie modalità d’impiego,di tematiche e di strutturazione. In genere essa non è intimistica auscultazione dei battiti del proprio cuore, ma volta a sfruttare suoni, colori e immagini per "dipingere" scenari, per creare atmosfere. Ne risulta una produzione,   preponderante in questo senso, personale, nuova, originale, che avrebbe potuto rappresentare una ventata innovativa nella poesia italiana del secolo scorso tra le due grandi guerre, capace di aprirla a nuove modalità espressive e ad un più stretto legame con il linguaggio popolare o pseudo-popolare. Ebbene, essa può essere suddivisa in tre categorie: quella più ampia, estesa,  preponderante, di carattere che potremmo definire futurista con l’impiego del particolare linguaggio vianesco, denso di termini frontali e anche gergali; quella delle poesie di guerra di ascendenza ungarettiana per le comuni tematiche ("Non mi sono mai sentito così immortale, come durante una battaglia ",  "Malgrado i dolori la vita è amata tanto. Ce ne accorgiamo alla guerra"), ma non ermetica, in quanto contiene liriche assai diffuse e particolareggiate; e, infine, quella  giovanile e privata del suo diario intimo tutto dedicato alla sua amata moglie Giulia, densa di  romantica passione amorosa: "Vivere senza di te … mi sento come una foglia dispersa dal vento. Vago nei miei sogni con l’abbandono di una cosa morta.
Tu sola sei la via e la luce e la vita."

Le poesie di quest’ultima categoria, nella loro spiazzante, incisiva semplicità, costituiscono un’ulteriore  prova di come il particolare linguaggio espressionistico vianesco sia un prodotto razionalmente ricercato e coerentemente perseguito.
    Ma eccone due chiari esempi esplicativi:
    "Il mio cuore è il calice rosso del mio sangue. / In te si è consacrato / e purificato. / Nella tua carne / che ha il tepore / del latte / germina e vive / il fiore / della nostra passione, / Non senti i baci brucianti / del tuo amore lontano?"             ***
    "Destati la vita ti sorride! / E tu sorridesti. / Ama con tutta la tua anima! / E tu hai amato / con passione verginale. / Dammi tutto di te, / e ti sei gettata / in me come nel vortice / di un’onda marina. / Ora sei tutta mia. / Ti carezzo nel profondo mare / dell’anima mia."
    Per quanto concerne le poesie di guerra, anch’esse, essendo state scritte al fronte, durante la sanguinosa I Guerra Mondiale, e dunque prima della "conversione" di Viani, attuata a partire dalla sua raccolta di racconti Gli ubriachi del 1923, al suo particolare linguaggio infarcito di ricercate, particolarissime espressioni gergali. Si tratta di una produzione commossa, attraversata da una sincera pietà per lo straziante martirio di tanti suoi sfortunati commilitoni.
    Come esempio indicativo di questa tematica bellica, intanto trascrivo soltanto i versi finali di una lunga composizione: La notte della battaglia, che descrive con dovizia di particolari una cruenta battaglia con il desolante spettacolo di morti con le lettere e le foto dei familiari sparpagliate accanto, densa di riferimenti sacri ( "quadrato santo", "reliquie", "Cristo risorto", "bende bianche", "Calvario") e indica, con quel termine significativo "ancora", la consapevolezza ungarettiana della precarietà dell’essere soldati al fronte:
     "Camminavamo, noi vivi ancora, / timorosi in quel quadrato santo, fra le reliquie / che erano i sogni di questo mondo ucciso, / che erano accanto ai morti, / che li tenevano vivi lassù, nella trincea / col caldo del loro sangue vivo. / Ora sono morte come i loro morti.  
    Il ferito che scendeva dal monte / con le bende insanguinate, / pareva Cristo che fuggisse dal Calvario."

    Ed ora ecco la prima parte di un’altra articolata poesia con qualche lontana eco ungarettiana che indulge, però, a toni più diffusi, elegiaci: Epopea del morto sconosciuto
    Ci sono i campi, le vigne abbandonate, / l’erbe, i fiori; / cantano anche laggiù lontane / le raganelle. / Gli alberi, dopo che il sole è morto, / si colorano di viola, / e quando si fa chiara la notte / gli usignoli con modulazioni di argento / riempiono il cuore / di rimpianto. / E il cielo nel tremolio delle lacrime / moltiplica le stelle. / E qui c’è la guerra: / è là dietro la quota / del Calvario, / dietro lo stagno quieto di pietra rossa. / Le aie sono lontane. / Dove? Tanto lontane? / Con i bovi e il dialogo dei contadini / che dicono la loro nenia / a chi è caduto lassù / sulla quota, sotto il rombare rosso / della mitraglia. // Dormiva il sonno leggero dei morti, / quando sul viso / si rischiarisce la pelle / nella serenità della fine, / e pare che l’affanno del cuore / si sia rassicurato nella chiarezza del nulla. / Come gli uccelli sui rami / egli muore in quest’alba, / nel suo nido. / Fra poco al sole / gli alberi della selva / si sveglieranno coi canti leggeri, / ma Lui dormirà in eterno.

    Infine ho scelto quest’altra lirica di guerra, sempre sul tema ricorrente della morte risolto in modo poetico e originale: Morte, pace, affanno
    Si aggira quassù fra i reticolati / in cerca di qualcuno da divorare / la morte. / Ma il sole è sempre ridente, / ma la trama degli affetti / è di taglia soda. / Spezzarli tutti all’improvviso / è penoso, è duro. / Morire con tutte la carezze / e vicine tutte le luci / delle nostre passioni, / che rischiarino la via buia / della morte almeno sul limitare! / Poi scendere giù nel paventato / silenzio del nulla, / poggiati sul nero e sul profondo / freddo dell’infinito, / andare giù come in un mare notturno / senza fondo, sentire / il gelo sulla carne / e gli occhi fissarli / nel cielo spento e nelle stelle opache.
    E concludiamo questo rapidissimo percorso attraverso la produzione lirica di Viani, così difforme, eterogenea e, a suo modo, intrigante, con un altrettanto rapido sguardo a quella, preponderante, dal timbro più personale e coerente con le modalità espressive tipiche della sua narrativa. Si tratta di composizioni dal timbro scandito, martellante del funambolico rincorrersi delle rime e delle assonanze atte a creare  immagini e atmosfere fresche, inusuali, pittoriche e da un linguaggio ridondante, con concessioni colte alternate a rintocchi gergali, popolareggianti. Una poesia con qualche eco simbolista e di ascendenza soprattutto futurista. che persegue, come la narrativa e la pittura di Viani, intenti espressivi innovativo-personali.
    Ecco così, in un vivo gioco di parole, di rime, di assonanze, di accordi fonici, onomatopeici, tra le tante poesie, questa Pali telegrafici che contiene versi come questi: "Pali scarnati / leticati / scheletri ereticali condannati / sugli stradali interminabili / sulle vie rotabili / sui novali / nei campi feraci / squamati d’ali / sfilunguellanti /  di pensieri incatricchiati nelle matasse distese / arpe selvatiche pizzicate dagli uccelli / gemiti spenti / nell’immensità", una poesia tutta vibranti immagini affastellate e movimentate, densa di metafore e di efficaci ossimori: "palesa la vita / con una mormorazione d’alveare / che pare / un ronzio di verdi e di nero / di gineceo e di cimitero ", come pure di aeree metafore: "Signori c’è il telegrafo diabolica invenzione. // Il vento forte sospiro di Dio / percuote le corde luttate / della grande arpa stradale / un fremito d’ale l’accorda".
    Ed ora una composizione esemplare del sovrabbondante, inarrestabile flusso lessicale, immaginifico, vianesco, del traboccante, funambolico rincorrersi di situazioni, in un singolare, tumultuante accostamento di immagini dall’andamento paratattico, della fluida varietà di accordi cromatici su una partitura, ora sincopata, franta, come per singhiozzi e pianti, ora spenta, monotona, come per abituale, rassegnato grigiore, tedio esistenziale, sul ritmo incalzante della rima baciata. Il tutto espresso col solito linguaggio letterario vianesco denso e graffiante, ruvido e nervoso, con frequenti concessioni ad un’intrigante alternanza di voci gergali o modellate sul parlato, se non addirittura inventate, e di vocaboli colti, spesso desueti,  in una ricerca di suggestivi ed efficaci registri formali personali, connotanti e connotativi. E tale lingua in poesia, oltre a folate  espressionisticamente volte a delineare immagini fresche e guizzanti e a suggerire particolari sensazioni, grazie anche a sapienti accostamenti fonici di evidente intonazione e ricerca melica, nella ricorrente anarchia metrica dei versi e della strutturazione strofica, è impiegata come pertinenti tocchi di pennello o vivide spatolate, tra guizzi futuristi e aneliti sperimentali. Il tutto, appunto come  in questa poesia La gabbia, con uno sfoggio baroccheggiante, marinesco, nell’acuta descrizione del canarino imprigionato coi soliti rintocchi di morte, sempre presenti nella produzione vianesca. Intensamente poetico è poi l’invito finale, in un evidente parallelismo tra uccellino e uomo, volto a conferire un senso più volitivo ed eroico (il "memento audere semper" dannunziano) alla propria esistenza, dando vela e ali alla propria grigia e pur sempre funerea cella autoingabbiante, per salpare, col titanico slancio liberatorio di un novello Odisseo dantesco,  verso mari di riscatto, di libertà e d’infinito.
    Quando hai rabbia, / guarda la gabbia, / e più ti dico / guarda il panico, / del canarino che saltabecca /da stecca a stecca, / col cuore nel cielo graticolato / dal graticciato. // Pensa: la foglia verde di radicchiella, / è la speranza nella sua cella, / che sa di pioggia, che sa di sole, / e d’altre tante dolci parole, / l’osso di seppia / sopra la greppia, / barchetta d’ossa, spina dorsale, / gli dona il sale, / che sa di scoglio, che sa di mare, che sa di vento, / di smarrimento / nell’infinito / finito / in Dio. // Il pentolino dell’acqua fresca, / ch’egli gorgheggia giù per il gozzo, / gli pare il pozzo /  di una grand’aja, / e la tua voce, il can che abbaia / alla catena del proprio orgoglio, / rauco mastino / del suo destino. // Sullo stormire dei salicastri, / sul palpebrio di mille astri, / gialla sfrullazzora di bambagina / strillò la sveglia della mattina / quando la lama / sembrò una trama / tremola di turchinetto / ed i palei penne aculeate, / inzuppate, / in verde inchiostro / dorate in vetta dal sol che svetta / folgoreggiante / sul Quiesa esploso. // L’uccelletto/  andò a ritroso. / Nel vorticoso / dei gran piovaschi, / quando il cielo sembra che caschi / acciaiato sull’ontaneto / sul cipressato / dove occultato sparafucile / rispurga i fulmini / sugli alti culmini, / che il vento svetta, ! e la saetta / striscia / ed abbiscia. / L’uccelletto / nel cielo terso della mattina / sulla gran pagina di scederina / carta velina, / zampò di nero / tutto il mistero / della sua vita nell’infinito /  finito  in Dio. // Oh can mastino / del suo destino, / colto da rabbia, / aprì la gabbia / a questo atomo dell’infinito / finito in Dio, / la verde foglia di radicchiella / della sua cella / vedi è abbracchita,  / come la vita / senza speranza, / in questa stanza / fatta di stecchi incatricchiati, / chiudi gli uccelli dei tuoi pensieri, / uccelli neri, / di naufragio / triste presagio / e notte e dì. // L’osso di seppia / sopra la greppia, / spina dorsale, / che sa di sale, / rigetta all’onda che muglia e sale,  / dietro il muretto del piccolo orto, / piccolo porto / dov’è ormeggiata all’ancoraggio, / la chiatta della tua vita senza coraggio, / letamata dal tuo limo immondo, / di questo mondo. // Sarpa / l’ancorotto della speranza, / sciogli la vela della fortuna, / e tosto invela / questa tua stanza, / su, leva fondo / e ti dirotta, /  timone e scotta, / nell’infinito. // Ché quando il vento la vela tomba / sulla romba / dell’uragano / tra l’ululato dei trapassati / la grande tomba / dell’Oceàno / t’inghiottirà.
    E, per finire, Tramagli tesi alle stelle, una poesia, insolitamente breve, in cui vi è, come al solito, un dinamico rincorrersi di immagini catturate, colte dall’occhio del pittore anche qui attento, più che alla consequenzialità logica, alla resa cromatica e musicale dei versi. Ne esce un’altra composizione originale, fresca di immagini metaforiche e suggestiva per echi evidenti di certa pittura vianesca, specie nelle due quartine iniziali . Il tutto si dissolve poi in pura fonicità:
    Vele gialle crocesegnate, / donne nere rassegnate, / fissate / sul mare. // Sulla barca / un vecchio navarca, viso di terra cotta, / guida il timone, tesa la scotta. // Triangolo di reti distese, schelmo, timone, calcese. / Cielo turchino, / rami di stelle in cammino, / impigliate / nelle reti, orate, / pesci luna, / lene, / sul bordo / sciabordo / oleastro/ verde astro. / Fredda palpitazione di mare / sciare, / arare, / sarpare.  
 


 
 
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